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Artemisia e Giuditta: Due facce della stessa medaglia.

Immagine del redattore: Arteria24Arteria24

Una personalità quella di Artemisia che mi ha sempre incuriosita ed affascinata, una di quelle difronte alle quali non puoi rimanere indifferente perché suscita un’ammirazione che va ben oltre l'oggettiva capacità artistica, una personalità che intimidisce perché mette difronte alle debolezze e all'aberrazione umana. Tra le prime figure riconosciute di artiste della storia, Artemisia Gentileschi nasce a Roma l'8 luglio del 1593, il padre Orazio era un pittore che appoggiò subito le inclinazioni della figlia tanto da affrontare non pochi ostacoli, vista l'impossibilità per le donne dell'epoca di essere pittrici. Appena sedicenne, lavorando con il padre ad un affresco della loggetta del Casino delle Muse, conobbe il pittore Agostino Tassi detto "lo smargiasso", il quale la violentò . Questo evento e quelli che ne conseguirono, come una difficile denuncia al Tassi e un processo "ridicolo" dal quale la donna ne uscì sconfitta e umiliata pubblicamente (se t'interessa ti consiglio di leggere: -Lettere precedute da atti un processo per stupro- a cura di Eva Menzio edito da Abscondita) influenzarono drasticamente la sua arte.


Fig.1 Autoritratto come allegoria della Pittura (1638) Uffizi, Firenze





Oltre a numerosi autoritratti (Fig.1), Artemisia dipinse personaggi femminili che ci spiegano la difficile condizione delle donne di quei tempi, donne che quasi per contrappasso si oppongono a uomini violenti e contro cui s'impongono vittoriose, è questo il caso del celeberrimo Giuditta che decapita

Oloferne.


Fig.2 Giuditta che decapita Oloferne (1612-13) Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

La versione che più mi ha stregato è stata quella visibile al Museo Nazionale di Capodimonte (Fig.2), al secondo piano ma c'è anche una versione fiorentina custodita negli Uffizi.

Nell'opera è riprodotta la vicenda biblica della fanciulla che con la sua abilità riesce a uccidere il generale degli assiri, Oloferne. Lo stile composito fa chiaro riferimento a Caravaggio, nei colori, nelle luci e nel pathos. Artemisia cattura il momento esatto in cui Giuditta decapita l'uomo, il volto dei soggetti è altamente curato in ogni loro espressione. Impressionante lo sguardo di Giuditta, agguerrito e privo di rimorso, da notare la mano di Oloferne, che stringe il vestito dell'ancella che lo tiene bloccato, la fantastica riproduzione delle pieghe del vestito, del movimento,della sensazione visibile della stretta. Realistico il volto ebbro di Oloferne che molto probabilmente era assopito, il colore purpureo della coperta che richiama anche quello del sangue, i colori accesi e sgargianti dei vestiti delle due donne, stridono con la scena carica di orrore che si sta manifestando. Una solidarietà femminile, quella raccontata da Artemisia, che avrebbe voluto ricevere anche lei nella sua vita, conclusasi a Napoli nel 1653. In fondo Artemisia il suo riscatto lo ha avuto perché nonostante i pregiudizi e le limitazioni impostale dalla società del tempo ha vissuta dipingendo e viaggiando. Noi la ricorderemo attraverso le sue opere immortali, come una donna libera ed indipendente.








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